Un argomento che emerge ogni qualvolta si verificano problemi su dispositivi impiantati nei pazienti, è la necessità di disporre di registri nazionali, uno strumento essenziale per tutelare la salute e la sicurezza dei pazienti a cui sono state impiantate delle protesi.
È per tale motivo che a livello comunitario, nel Regolamento europeo 2017/745 sui dispositivi medici, è stato introdotto uno specifico articolo (Art.108) in cui si chiede agli Stati membri di “adottare tutte le misure opportune per incoraggiare l’istituzione di registri e banche dati di tipologie specifiche di dispositivi stabilendo principi comuni per la raccolta di informazioni comparabili. Tali registri e banche dati contribuiscono alla valutazione indipendente della sicurezza e della prestazione a lungo termine dei dispositivi o alla tracciabilità dei dispositivi impiantabili, oppure a tutte queste caratteristiche”.
Analogamente, in Italia, nel 2012, con il decreto legge 179, convertito successivamente in legge (L. 221), il legislatore ha iniziato un percorso che ha portato a delineare il contesto normativo che attualmente supporta l’implementazione di sistemi di sorveglianza e di registri di particolare interesse per la sanità pubblica, identificati con il DPCM 3/3/2017. Tali sistemi di sorveglianza e di registri, la cui alimentazione da parte delle regioni e degli operatori sanitari è stata resa obbligatoria con la Legge 145 del 31/12/2018 (comma 558), verranno formalmente istituiti una volta approvato il regolamento previsto dal DPCM.
Tra questi sistemi di sorveglianza e di registri, vi sono il Registro delle protesi impiantabili (Registro Italiano delle Protesi Impiantabili, RIPI) e il Registro Nazionale degli impianti protesici mammari, in capo rispettivamente all’Istituto Superiore di Sanità e al Ministero della Salute.
Un registro di protesi impiantabili è un sistema che raccoglie i dati di tutti gli interventi di impianto o di rimozione di una specifica protesi in una determinata area geografica (un registro nazionale raccoglie i dati di tutti gli interventi effettuati nell’intero paese). Sono fondamentalmente due gli obiettivi di un registro: il primo è quello di poter rintracciare i pazienti nel caso si verifichi un richiamo della protesi che è stata loro impiantata; il secondo è quello di effettuare sui dati raccolti delle particolari analisi statistiche, le cosiddette analisi di sopravvivenza, per misurare quanto un impianto resta in sede prima di essere rimosso. Queste analisi rappresentano uno strumento molto potente per rilevare precocemente eventuali problematiche che, altrimenti, potrebbero mettere in pericolo lo stato di salute di molti pazienti.
L’istituzione del RIPI consentirà quindi di disporre, come già avviene in altri paesi, di uno strumento che permetta di tutelare la salute dei pazienti. Con i dati prodotti dal Registro si potrà, infatti, supportare il Ministero della Salute nelle proprie attività di sorveglianza e vigilanza sui dispositivi medici. Inoltre, i risultati delle analisi di sopravvivenza potranno costituire un utile riferimento per le aziende biomediche italiane per monitorare la qualità dei propri prodotti, e permetteranno di partecipare al benchmarking internazionale delle protesi, contribuendo alla segnalazione precoce di eventuali eventi avversi.
Il modello organizzativo del RIPI consiste in una struttura di coordinamento trasversale che governa singoli registri di dispositivi impiantabili suddivisi per tematica:
Il Registro Italiano ArtroProtesi (RIAP)
Il Registro Italiano Dispositivi Impiantabili per chirurgia Spinale (RIDIS)
Il Registro Italiano Defibrillatori e Pacemaker (RIDEP)
Il Registro Italiano Valvole Cardiache (RIVAC)
Il Registro Italiano Dispositivi Impiantabili Uditivi (RIDIU)
Il Registro Italiano impianti protesici Cranio-Facciali (RICRAF)